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L'irrompere sulla scena politica e mediatica mondiale del movimento antiglobalizzazione è stato forse il fenomeno che più ha segnato il passaggio dal XX al XXI secolo. Quale inedito "movimento dei movimenti" ha dato voce a una varietà di categorie, popolazioni e gruppi sociali tanto ampia quanto lo è quella dei soggetti toccati dalle conseguenze negative della globalizzazione. Esso ha costituito una temuta minaccia per la credibilità e la legittimità - e in molti casi per l'incontrollata libertà di agire - di numerose multinazionali, dei principali organismi economici sovranazionali e anche di una serie di governi. Nel breve giro di un decennio - il primo del nuovo millennio - sono accadute tante cose drammatiche: la paura del fondamentalismo islamico, il terrore della guerra al terrore, una devastante crisi economico-finanziaria. A posteriori non si può che riconoscere la ragione di molte critiche e istanze avanzate in passato dal movimento globale. O almeno da quella parte che, non affetta da antiamericanismo e dal mito della rivoluzione e della violenza liberatrice, è capace di distinguere la globalizzazione dalla sua versione neoliberale e di pensare e annunciare in modo non ideologico o utopico che "un altro mondo è possibile". Se "yes we can" diventerà il motto delle élite mondiali, sarà anche grazie al messaggio conflittuale espresso dal movimento globale.